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  11 dicembre 2011

 

 

 

 

 

VERBALE DELL’11 DICEMBRE 2011

Il periodo dell’Avvento vede  riunito il gruppo in data odierna per vivere una giornata comunitaria alla luce del “Canto della vigna- Isaia 5,4” proposto dalla formazione per i LAM e dell’ascolto della Santa Messa.
Del brano biblico,  i presenti sono invitati a riflettere in particolare su “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”- Benedire la Comunità, riportandosi sia alla vita familiare che a quella comunitaria.
Dopo la lettura del canto, il coordinatore, Silvia P. e il segretario forniscono un’interpretazione delle parole  “uva selvatica” che in alcuni testi vengono sostituite da “uva acerba” lasciando ad intendere un frutto non ancora maturo rispetto al frutto che nonostante le cure e l’innesto, si è presentato ancora selvatico.
Il significato allegorico è relativo al popolo d’Israele che non ha dato frutti buoni  al Dio dell’Alleanza,  che manifesta  la sua delusione e il suo lamento nell’interrogativo sofferente “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna…..” Il vignaiolo aveva piantato viti pregiate  sopra un fertile colle e si attendeva uva succulente e dolce, invece ha avuto frutti amari.
Il canto, dice Suor Rifugio riguarda ognuno di noi che abbiamo avuto tutto dal Signore nostro Padre, anche la correzione per tornare a Lui redenti. I cristiani devono perciò dare una risposta integrale alle sue esigenze.
Il brano, interviene Rita R., è più che mai attuale perché il popolo è diventato senza siepe e muro di cinta, cioè senza comandamenti, con un allontanamento morale che provoca violenze e mancanza di rispetto verso la natura e il creato. Sembra quasi di avvertire il lamento del Signore e occorre verificare la nostra fede, interrogandoci sul perché il Signore si chieda “Che cosa dovevo fare ancora…che io non abbia fatto?” Il nostro comportamento deve essere rivisto alla luce della passione di Cristo che ci ha riscattato con il suo sangue.
Se la domanda del Signore, dice Caterina C., è rivolta al popolo di Isaia, di certo a molti anni di distanza, le sue opere sono state molte di più.
Maria Teresa C. condivide le sue riflessioni affermando di aver lavorato con disponibilità nella vigna del Signore in comunione di coppia, ma gli eventi della vita e le difficoltà hanno spezzato la vigna, causando un allontanamento. Col tempo, tuttavia, la consapevolezza che le difficoltà riguardano tutti, l’ha aiutata a continuare anche da sola il cammino spirituale dei laici, per dare testimonianza ai suoi figli e alle sue nipoti nell’ essere sempre tralci di quella vigna.
A Silvia P. sono rimaste impresse le parole di Madre Speranza, che ricorda che Gesù è un medico a cui bisogna ubbidire fidandoci di Lui. Se manca la fiducia infatti i frutti sono selvatici, occorre invece avvertire la sua presenza e dare la giusta risposta.
Tutti i nostri “SI” vengono messi alla prova, precisa Suor Rifugio e al momento del “SI” può esserci la caduta e l’allontanamento. La chiamata di Dio è esigente, bisogna perciò spogliarsi delle proprie fragilità e vendere l’egoismo e la superbia. La risposta deve essere più radicale.
E’ essenziale avere umiltà, dice Egidio B., perché spesso i giovani non si rendono conto che l’uomo ha bisogno del fratello. La società odierna ha portato purtroppo l’uomo ad isolarsi.
Come genitori, afferma Roberta S.,  si avverte spesso un fallimento al proprio operato  nel non avere risposte adeguate da parte dei figli.
I nostri figli, riferisce Luciana B., vivono oggi le contraddizioni dettate dalla cultura moderna, dimenticando i valori morali che sono stati insegnati loro. Assistiamo a convivenze di coppie non sposate, che tuttavia chiedono il Sacramento del Battesimo per i propri figli, vivendo una realtà fuori dal significato vero della famiglia.
La Parola di Dio è chiara, precisa Suor Rifugio, e di fronte a queste realtà che ci toccano, occorre unire la nostra sofferenza a quella di Cristo.
Anche Anna Maria M., si è chiesta in un frangente simile, che cosa poteva fare di più di quello che aveva fatto per la sua figliola, ha tuttavia seguito la via dell’accoglienza e dell’esempio cristiano.
Qualunque situazione si viva, dice ancora Rita R., non bisogna rinunciare al proprio ruolo di testimone di Cristo per non rinnegarlo come San Pietro. Quello in cui si crede, va sempre confermato.
Il matrimonio è un impegno, ricorda Suor Rifugio, che va conservato giorno dopo giorno e Roberta S. aggiunge che i giovani oggi sono avidi e non vogliono costruire un rapporto vero.
La società moderna, conferma Sergio R., e i mass media hanno influito negativamente e il benessere ha disgregato la famiglia.
 Il dare tutto ha portato purtroppo alla mancanza di responsabilità nella gioventù.
Mariella B. riporta l’attenzione sul Canto di Isaia, affermando che nel nostro limite abbiamo fatto tutto, dando il meglio ma non siamo stati esenti da errori.
Infatti dice Guglielmo, all’inizio del suo matrimonio, l’educazione ricevuta e l’impreparazione ad educare i figli, ha comportato difficoltà e scontri in famiglia.
La preghiera alla Madonna, interviene Gianna C., aiuta a sopportare e a fare sacrifici. La preghiera è un’arma per l’uomo, il giudizio è di Dio. Le lacrime di una madre non si perdono, diceva Sant’Agostino.
Il degrado avuto, continua Suor Rifugio, ha toccato il fondo, le aberrazioni mentali sono tante e i giovani respirano questo clima di disfacimento; preferiscono non alimentare i sentimenti che logorano la coscienza ma non stanno bene fuori dalla via tracciata da Dio. Ci sono molte conversioni nel mondo dello spettacolo che fanno ben  sperare; il ritorno c’è ma è faticoso. Si vive la spiritualità ma non la moralità e bisogna pregare e pregare.
Elisabetta S. condivide la sua riflessione dicendo che da sola, come tralcio, avrebbe potuto fa poco nella sua esistenza. Come coppia e come famiglia ha vissuto il dono dell’amore e della responsabilità per le tre figlie adottive nonostante le difficoltà, lo sconforto e l’allontanamento dal Signore. Il vignaiolo fedele  però l’ha sempre curata, insegnandole a fidarsi di Lui, a rispettare i suoi tempi per dare i frutti dolci che Lui stesso vuole.
Tutte le difficoltà, dice Suor Rifugio, non sono inutili. Se il Signore chiede perseveranza e costanza è per santificare e non per sciupare le nostre sofferenze. Mettere le sofferenze nel torchio del Calice di Cristo, porterà la redenzione. Bisogna pregare anche per i sacerdoti che avvicinano i fedeli.
I sacerdoti incontrati nella sua vita, conferma Rossana S., sono stati un elemento positivo per arricchirla, migliorarla e seguire la via di Cristo. La buona volontà l’ha premiata oggi, con la raccolta  dei frutti  avuti dall’offerta al Signore della sofferenza e del dolore passati.
Il coordinatore invita a leggere sul libretto di formazione, il pensiero di Madre Speranza sul Comandamento dell’amore al prossimo.
Egidio B. dichiara di aver fatto un’analisi sociologica del Canto della Vigna, arrivando alla considerazione che la Cristianità, quindi tutta la vigna dei battezzati, non abbia dato abbastanza testimonianza di fede. Si chiede allora se le persone sposate in Chiesa diano testimonianza di condivisione, unità e  amore.
Nella catechesi di preparazione al matrimonio, ha constatato che molti pensano che il matrimonio sia la tomba dell’amore perché non ne conoscono il Sacramento. Se usciamo poi dal discorso “matrimonio”  e pensiamo ai sacerdoti, vediamo che non tutti si adoperano per la vigna. Nella vigna ci sono frutti buoni e frutti amari e dai frutti li riconoscerete. Non c’è amore, accoglienza e giustizia e i problemi di amoralità dipendono dalla mancanza di valori veri. Nell’ambito delle nostre possibilità abbiamo fatto e dato testimonianza ma fino a che punto abbiamo delegato nella società? Abbiamo coltivato il nostro orticello senza spanderci oltre.
Maggioranza silenziosa, conferma Sergio R., che diventa colpa di omissione aggiunge Suor Rifugio, invitando a far di più e ad interrogarci se ci siamo fidati abbastanza di Dio. Dobbiamo mettere nella nostra vita la preghiera e la fede forte in Dio. La Comunità dell’Amore Misericordioso deve amare in modo oblativo e pregare universalmente. Quando si incontra la malattia, questa interroga le famiglie e torchia come un richiamo esigente di Dio. La nostra preghiera deve servire da vedetta perché prevalga l’Amore Misericordioso. Una preghiera sentita, profonda che apra il cuore di Dio. La testimonianza dei laici deve essere efficace; occorre farsi santi.
 Tommaso L. riferisce che la superbia trae in inganno anche nei confronti dei figli. Il perbenismo, il non fidarsi di Dio, l’onnipotenza portano a sbagliare.
La grande responsabilità dei genitori, dice Suor Rifugio, sta nel riconoscere i propri peccati e lavorare per Dio, facendosi lavare dal sangue dell’Agnello.
Il Signore va colto, interviene il coordinatore, ringraziandolo per le occasioni che ci offre.
 La famiglia purtroppo è a pezzi, continua Tommaso come ha potuto constatare sul lavoro.
Spaventano inoltre, aggiunge Rodolfo F., gli sceneggiati televisivi che non trattano affatto argomenti di unità e amore familiare.
Luciana B. afferma che il non pregare, non aiuta. Se tutti pregassimo, fidandoci di  Maria e di Gesù, qualcosa cambierebbe nella società.
Conforta per ultimo l’intervento di Elisabetta L. che aveva partecipato all’inizio della riunione con uno stato d’animo incerto, mutato poi per l’accoglienza e il sorriso trovato in Comunità.
Segue la preghiera comunitaria, lo scambio degli auguri natalizi nella gioia di Gesù Bambino, il pranzo e la messa.
Sia lode al Signore, Franca