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Scritti di Madre Speranza

 

 Riflessioni sulla Settimana Santa

  1. 1.       Domenica delle Palme

 

Consideriamo, figlie mie, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e prepariamoci a meditare la Passione del nostro Redentore. Gesù beve il calice della sua Passione sia corporalmente ad opera dei carnefici, sia spiritualmente avendola sempre presente nella sua memoria.
Noi, Ancelle del suo Amore Misericordioso, dobbiamo seguirlo spiritualmente con sentimenti di dolore, compassione e tristezza, e fisicamente facendo alcune volontarie mortificazioni, come il digiuno, le discipline, e impegnandoci con spirito eroico nelle virtù dell’obbedienza, dell’umiltà, dell’amore a Dio e al prossimo.
Per partecipare alla Passione di Gesù ci sono necessarie, figlie mie, l’umiltà del cuore con la quale riconosciamo e confessiamo che le nostre colpe sono la causa di quei tormenti, la fiducia nella misericordia di Dio, la preghiera fervorosa e attenta e la purezza da ogni colpa.
Vari sono i modi di meditare la Passione, ma credo che il più efficace sia quello di considerare le persone che vi partecipano, le loro parole e azioni, imparando da Gesù a desiderare la sofferenza e come soffrire.
La Passione deve suscitare in noi un sentimento di confusione per i nostri peccati pensando Chi è che abbiamo offeso, che cosa ci ha fatto Gesù perché lo trattassimo con così poco affetto, lo offendessimo e osassimo dargli dei dispiaceri; la bontà di Dio e la sua saggezza nel cercare il modo di soddisfare i nostri debiti.

Credo, figlie mie, che un buon modo di meditare la Passione di Gesù e di ricavarne frutto è anche quello di considerare in ogni mistero la Persona che soffre, il suo potere, la sua carità e innocenza, il suo amore; chi è colui che Egli ama e per il quale soffre; la quantità e gravità dei tormenti; chi sono i suoi persecutori: giudei, gentili, nobili, plebei, potenze infernali. Le persone per le quali soffre: amici, nemici passati, presenti e futuri; i sentimenti e le virtù eroiche con le quali soffre, per lasciarcele come testamento: umiltà, obbedienza, carità, amore, mansuetudine, fortezza e pace.

Consideriamo anche le sette stazioni del suo andare e la compagnia dei carnefici e degli aguzzini che, come leoni, erano avidi di bere il suo sangue. Consideriamo il suo dolore nel veder soffrire la sua SS. Madre e il dolore di lei che ama il Figlio suo unigenito più di se stessa.
Ella esercitò allora particolarmente quattro virtù: la rassegnazione, l’umiltà, la fortezza e la carità, estesa fino ai nemici per i quali pregava.

Gesù sale da Efraim a Gerusalemme in compagnia dei suoi discepoli e a passo così affrettato che questi ultimi quasi non possono tenergli dietro. Egli sa che va a morire, infatti i giudei si sono già riuniti nel sinedrio e hanno deciso di condannarlo a morte. Gesù, figlie mie, vuole dimostrarci così che nelle fatiche Egli va sempre avanti a noi, e che cammina lieto perché è suo desiderio obbedire al Padre. Desidera ardentemente soffrire e con il suo fervore cacciare la paura che si è impadronita dei discepoli quando ha detto loro ciò che sarebbe accaduto.
Gesù palesa ai suoi quello che dovrà patire per mostrare che gradisce molto ricordare le sue sofferenze e parlarne, e per prepararli a resistere con coraggio. Ma essi non comprendono il fine delle sue parole, la grandezza e il frutto della sua Passione, come succede a noi se non la meditiamo attentamente.

Gesù entra in Gerusalemme onorato e acclamato con palme festose affinché poi appaia maggiore l’ignominioso affronto della Passione e per mostrarci la sua serenità nelle innumerevoli afflizioni sofferte in Gerusalemme, e in seguito durante la Passione, e per mostrarci che la povertà, la mansuetudine e l’umiltà sono le note che distinguono il Re del Cielo.
Gesù è acclamato dal popolo che, preso da grande entusiasmo e devozione, per ispirazione del cielo lo accoglie agitando palme e rami di ulivo, simboli di vittoria e di pace; molti distendono devotamente i loro mantelli sul suolo e tutti cantano: “Gloria al Figlio di David! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.
I farisei, accecati dall’invidia e dalla superbia, chiedono a Gesù di far tacere la gente, ma Egli risponde che se quelli tacessero, parlerebbero le pietre.

Gesù anteriormente sul Monte degli Ulivi aveva pianto su Gerusalemme, profetizzando che di essa non sarebbe rimasta pietra su pietra, distrutta a causa del deicidio che avrebbe commesso. Aveva pianto soprattutto per il castigo eterno che attendeva quel popolo nell’altra vita per non aver approfittato del giorno della sua visitazione, e per tante anime che dall’inizio del mondo si erano e si sarebbero perdute a causa del peccato.
I farisei mormorano di Lui e vogliono far tacere i fanciulli, e Gesù, che è rimasto tutto il giorno fra la gente facendo del bene, non trova a causa del timore che incutono i giudei chi gli offra un bicchiere d’acqua e deve recarsi a Betania, distante due miglia, a casa di Lazzaro. Questo fatto dimostra chi è Dio nel suo rapporto con gli uomini e chi sono gli uomini nel loro comportamento con Dio.
Quante volte Gesù, dopo essere stato con noi tutto il giorno aiutandoci e distribuendo le sue grazie, deve andarsene altrove in cerca di carità, amore e sacrificio; in cerca, figlie mie, di ciò che noi gli abbiamo negato: estinguere la sua sete di amore e poter regnare nei nostri cuori.
Piangiamo, figlie mie, le nostre ingratitudini, chiediamone perdono al nostro buon Padre. Con umiltà e fiducia, supplichiamolo di non allontanarsi da noi, di riposare nei nostri cuori e dissetiamolo donandoci totalmente al suo Amore. Impariamo, figlie mie, a non esaltarci quando siamo onorate e a non abbatterci nella sventura, ma a cercare solo in Gesù e nella preghiera la nostra speranza e la nostra pace.

 

  1. 2.     Lunedì santo

Care figlie, in questi giorni vogliamo meditare la Passione di Gesù; oggi contempliamo Gesù nell’Orto del Getsemani e poi quando viene arrestato.
Gesù va nell’Orto degli Ulivi sia per raccogliersi in preghiera in un luogo solitario, sia perché in quel luogo più facilmente può trovarlo Giuda che conosce la sua abitudine di ritirarvisi a pregare. E anche perché vuole che nell’Orto abbia inizio la Redenzione, dato che nell’orto del Paradiso terrestre è iniziata la rovina del genere umano.
Gesù, nell’angoscia della sua afflizione e tristezza, comincia col privarsi volontariamente di ogni consolazione sensibile. Concede libertà ai suoi appetiti affinché scaturiscano con veemenza le sue pene.
Le afflizioni di Gesù sono causate dalla visione: della moltitudine quasi infinita dei peccati di tutto il mondo come ingiuria infinita fatta a Dio; del supplizio eterno che per essi soffriranno i suoi figli; dell’ingratitudine e perdizione di tanti uomini che non approfitteranno dell’Incarnazione, della Redenzione e dei Sacramenti; dell’ingratitudine e rovina del popolo eletto, ostinato nel misconoscere il giorno della sua visitazione; della perdizione di Giuda che è stato alla sua scuola; del peccato di S. Pietro; dello scandalo dei suoi discepoli e della sofferenza della sua SS. Madre.
Le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli: “L’anima mia è triste fino alla morte; fermatevi qui e vegliate con me”, ci manifestano, figlie mie, l’intensità del suo dolore sofferto a motivo della grandezza del suo amore. Dolore capace di causargli la morte, come uomo, se Egli non si conservasse in vita per prolungare il suo martirio. Eppure l’uomo, invece di essergli riconoscente, lo offende, si beffa della sua Passione e spreca le grazie della Redenzione.
Gesù rende partecipi della sua sofferenza i tre discepoli da Lui più amati, come li aveva resi partecipi della sua gloria sul Tabor, e li avverte che il mezzo per non cadere in tentazione è vegliare e pregare.
Gesù si ritira a pregare per insegnarci che il rimedio alle nostre tristezze non si trova nel parlare con gli uomini, ma con Dio, che è Padre che consola. Si discosta dai suoi discepoli per privarsi della consolazione della loro compagnia.
Figlie mie, Gesù cerca consolazione nella solitudine per evitare la distrazione. Esercita una profondissima umiltà restando a lungo con il suo volto divino prostrato al suolo; mostra grande fiducia e amore nel dire “Padre mio”; ci insegna la straordinaria abnegazione della volontà chiedendo che non si faccia la sua, ma la volontà del Padre.
Gesù rimprovera amorosamente i suoi discepoli perché si sono addormentati e ci fa sapere che, mentre noi uomini dormiamo, Egli si prende cura di noi vegliando sulla nostra salvezza. Compatisce questa mancanza dei discepoli perché causata da fragilità. Comprendete, figlie mie, che questo vale riguardo alle mancanze commesse per fragilità, come quando dormiamo nel tempo della preghiera nonostante gli sforzi fatti per restare sveglie.
Gesù torna una seconda volta a pregare per insegnarci ad essere perseveranti nell’orazione e dice: “Se non può passare da me questo calice senza che io lo beva, si faccia la Tua Volontà”.
Gesù si alza e, tornato dai suoi discepoli, li lascia dormire, avendo compassione della loro debolezza. Ma questo aumenta la sua sofferenza, perché non c’è chi lo consoli né in cielo né sulla terra. Allora, per la terza volta, torna a pregare, perseverando in orazione e il Padre invia un angelo a onorare il Figlio e a confortarlo, ricordandogli i motivi della Redenzione, che Gesù ascolta con grande umiltà.
Gesù suda sangue in grande abbondanza, sia per la violenza con cui lo assalgono l’angoscia e la tristezza, sia per la grande resistenza che oppone a queste passioni, persistendo con amore immenso nel desiderio di versare volontariamente il suo sangue ancor prima di perderlo nei futuri tormenti, e sia per il dolore che gli procurano le afflizioni del corpo mistico dei suoi eletti.
Debilitato dallo spargimento di sangue, Gesù non trova chi gli asciughi il volto.
Egli, abbandonato ogni timore, esce confortato dalla preghiera per mostrarcene l’efficacia.
Gesù torna dai suoi discepoli e li avverte che già si sta avvicinando colui che lo deve consegnare ai nemici. Egli manifesta il suo cuore amoroso perché, non soltanto non li rimprovera di aver dormito, ma neppure ne parla.
Gesù, a causa del bacio di Giuda, è arrestato dai soldati e viene condotto a casa di Anna. Nel bacio di Giuda è tutta la perfidia del traditore. Questi per denaro aveva cospirato di notte con i rabbiosi nemici di Gesù, parlando male del suo Maestro. Perfida è la sua condotta perché, approfittando della sua conoscenza di Gesù e del luogo, va a prenderlo in compagnia di molti soldati, come se fosse un malfattore, e lo saluta con un ipocrita e insolente bacio di pace. C’è perfidia anche nell’espressione “Maestro” del suo saluto.
Figlie mie, Gesù accoglie Giuda con profondo dolore e tristezza e, con amoroso rimprovero, gli dice: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”. Gesù si fa avanti a ricevere i soldati e manifesta così il suo dominio; trattiene infatti la turba impedendole di avvicinarsi, pur avendo il traditore già dato il segno convenuto.
Gesù fa cadere a terra i suoi nemici solo dicendo: “Sono io”, come atterrò Saulo per salvarlo. Nello stesso modo, con la sua parola, colmerà di terrore i reprobi nel giorno del giudizio. Gesù pone limite al furore della turba, affinché non tocchi gli Apostoli e rientri in se stessa; ma non le toglie la sua cecità volontaria, dato che Egli vuole morire. Gesù compie il miracolo di farli stramazzare a terra, all’indietro, perché riconoscano che è Dio e che quindi va alla morte per compiere la volontà del Padre suo, e non la loro. Dice infatti: “Volete che non beva il calice che mi ha presentato il Padre mio?”.
Figlie mie, consideriamo come nell’arresto di Gesù i sentimenti delle persone sono opposti. Giuda è nemico nonostante appartenga alla sua scuola; i carnefici, nemici esterni, lo odiano; gli Apostoli lo amano, ma lo abbandonano. Pietro, trasportato dal suo impulso, ferisce Malco, ma Gesù calma gli animi e lo guarisce. In tal modo fa del bene al suo nemico e anche a Pietro impedendo che sia perseguitato per aver opposto resistenza alla pubblica autorità. Gesù dice: “Questa è la vostra ora; l’ora del potere delle tenebre”, dando così ad essi la libertà di maltrattare quanto vogliono il suo corpo divino. Immediatamente cominciano a ingiuriare Gesù, legano le sue mani che hanno compiuto tante opere buone, gli danno calci e coprono di percosse il suo corpo divino. Anche gli Apostoli affliggono il suo cuore fuggendo pieni di paura. Con quanto dolore gli occhi di Gesù guardano la fuga degli Apostoli da Lui tanto amati.
E noi, Ancelle del suo Amore Misericordioso, per timore alla sofferenza, avremo il coraggio di abbandonare Gesù solo nel suo dolore, invece di difenderlo in questo secolo nel quale è tanto perseguitato?

  1. 3.      Martedì santo

Care figlie, consideriamo oggi il nostro buon Gesù davanti ai tribunali e ciò che ha sofferto nelle prime quattro stazioni della sua Passione.

La prima stazione: va dall’Orto degli Ulivi alla casa di Anna.

In questa prima stazione Gesù soffre perché condotto di furia, correndo, tirato con la corda che gli hanno posta al collo, a spintoni, e ingiuriato a gran voce come malfattore e sobillatore del popolo. Nella casa di Anna soffre per l’odio dei farisei e degli scribi che lo scherniscono, e per la superbia di chi lo interroga riguardo ai discepoli e alla sua dottrina. Egli con prudenza difende il proprio insegnamento, non fatto di nascosto, ma in pubblico nel tempio, nelle sinagoghe e davanti agli stessi giudici. Lo schiaffo di Malco è ingiusto perché interpreta con malizia la risposta di Gesù al Pontefice; crudele e ingiurioso perché dato con ira e davanti a molta gente; basso e vile perché ha lo scopo di adulare il Pontefice. La risposta di Gesù, che non viene presa in considerazione e quindi disprezzata, è mite perché ci vuole insegnare ad essere tali con i nostri nemici; è dignitosa per darci un esempio di come nel difenderci si può conciliare la nostra dignità con il rispetto dovuto all’autorità.

Seconda stazione: Gesù in casa di Caifa. S. Pietro rinnega Gesù. Vediamo, figlie mie, le cause di queste negazioni di Pietro che, a mio giudizio, non sono altro che un castigo per la presunzione da lui mostrata durante la cena; per la sua negligenza nell’evitare il pericolo di cadere; la sua curiosità, dato che non entra nell’atrio per andare a morire con Gesù, ma per vedere come andrà a finire; per la sua temerità nell’esporsi al pericolo e nel rimanervi anche dopo essere stato avvertito; per la sua paura della morte e il rispetto umano che lo porta ad insistere con giuramento e imprecazioni davanti ad una donnicciola.
S. Pietro, figlie mie, viene atterrato da una donnicciola, come lo fu Adamo nel paradiso.
La penitenza di S. Pietro è provocata dallo sguardo di Gesù che libera l’Apostolo dagli artigli del lupo infernale. Lo sguardo di Gesù è efficace perché fa uscire immediatamente S. Pietro da quel luogo, e pieno di amarezza e di grande compassione, tanto che spinge l’Apostolo a piangere il suo peccato.
Le accuse che fanno a Gesù sono false ed il reo è lo stesso Dio Onnipotente, con le mani legate; l’Innocenza stessa contro la quale non si trovano capi d’accusa; la Mansuetudine che non si difende. E’ il Dio amoroso, che li chiama a riconoscerlo. Infatti, a Caifa che gli chiede se è il Figlio di Dio benedetto, risponde di sì e che verrà a giudicare il mondo. Questo dice Gesù per farli intimorire e ritrarre dal loro peccato.
Trasgredendo l’ordinamento giudiziario, i falsi testimoni sono giudici presi da quella stessa assemblea; essi come calunniatori sono vergognosamente smentiti dalle loro stesse accuse che non coincidono. Caifa si trasforma da giudice in accusatore, mentre i circostanti si trasformano in giudici quando alla domanda del Pontefice “Che ve ne pare?” esclamano: “E’ reo di morte”.
Le sofferenze di Gesù in casa di Caifa, durante la notte dopo la sentenza, figlie mie, sono causate dagli sputi con cui i giudici e i carnefici gli coprono il volto; dallo straccio sporco con cui gli bendano gli occhi perché non si veda l’aspetto del suo Volto divino, che suscita turbamento nei carnefici; dai colpi e dalle ferite prodotte con le mani e con i piedi in tutto il corpo; dai capelli che gli vengono strappati con incredibile crudeltà; dalle ingiurie con cui viene chiamato samaritano, beone, indemoniato; dalle beffe di chi gli dice: “Profeta, chi ti colpisce?”; dall’alternarsi degli aguzzini durante tutta la notte, con il fine di continuare a tormentarlo e non lasciarlo dormire.

Terza stazione: Gesù passando dalla casa di Caifa a quella di Pilato soffre orribilmente per lo stato in cui si trova e per il modo come lo conducono. Gesù soffre vedendo l’ansia con cui gli scribi e i farisei attendono che si faccia presto giorno per poter uccidere il Redentore del mondo; e soffre nel vedere che l’autorità sacerdotale cede la causa a quella secolare. Soffre per lo schiamazzo infernale dei soldati e del popolo quando passa per le strade di Gerusalemme, dove molta gente accorre a vederlo; per il giudizio negativo che Pilato formula di Lui; per essere accusato da gente di rango come un malfattore. Gesù è accusato di essersi dichiarato Figlio di Dio; di andare contro Cesare, negandogli il tributo e di proclamarsi Re sobillando il popolo. Soffre per la disperazione e il suicidio di Giuda, che si è impiccato quando ha compreso la gravità infinita del suo delitto e non ha saputo riconoscere la Misericordia e l’Amore di Dio; soffre per l’ostinazione dei sacerdoti nella loro malvagità, pur avendo sentito Giuda proclamare l’innocenza e la divinità di Gesù.
Il motivo che fa tacere Gesù davanti a Pilato, figlie mie, è la dignità della sua persona, per cui Egli parla soltanto quando sono in causa il suo regno e la sua divinità, mentre ritiene non conforme alla propria dignità parlare di tutto il resto. Gesù ci insegna così a non presentare mai scuse vane, e a riflettere che Egli, pur potendo presentare giustissime ragioni, ha preferito tacere.
Grande è la meraviglia di Pilato, sia nel vedere che Gesù tace pur trattandosi di una questione di vita o di morte per Lui che viene presentato come reo, sia nel rilevare il contrasto tra il silenzio, la dignità e la mansuetudine di Gesù e le grida tumultuose dei Principi dei Sacerdoti.

Quarta stazione: Gesù è portato dalla casa di Pilato a quella di Erode. Qui soffre perché, man mano che si fa giorno, aumenta la folla per le strade; maggiore è la rabbia dei giudei che sia differita la sentenza, e più numerose le ingiurie, le bestemmie, gli urli e lo strepito dei soldati, degli aguzzini e del popolaccio.
Il silenzio di Gesù davanti a Erode, al quale neppure volge lo sguardo, è un castigo per la scomunica che pesa sul tiranno a motivo dell’uccisione del Battista e dello scandalo che dà al popolo per il suo concubinato con Erodiade, la moglie di suo fratello; per la sua frivola curiosità di vedere Gesù compiere qualche miracolo al fine di divertirsi e burlarsi di Lui; per la superbia con cui si reputa saggio, mentre giudica Gesù pazzo o idiota; e per il suo odio contro gli abitanti di Gerusalemme. Egli infatti disprezzando Gesù, crede di disprezzare i giudei che gli hanno presentato a giudizio come un uomo temibile Colui che egli considera un re demente.
Erode rimette Gesù a Pilato, dopo averlo fatto ricoprire di un vestito bianco e avergli posto in mano una canna come scettro, in segno di re pazzo di cui burlarsi. Nel Pretorio si rinnovano gli affronti, gli scherni e le ingiurie.
I tribunali ingiusti che perseguitano Gesù rappresentano, figlie mie, la malvagità che perseguita l’innocenza; cioè il Giusto perseguitato dall’ingiusto per altissimi fini della Provvidenza.
Rappresentano la Passione del nostro Redentore le virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

  1. 4.     Mercoledì santo

Care figlie, meditiamo oggi la passione di Gesù dal Pretorio alla crocifissione.
Gesù viene posposto a Barabba. Questa, figlie mie, è una umiliazione infinita a motivo della infinita differenza tra le due persone. Barabba infatti è omicida, ladrone e perturbatore, mentre Gesù è l’Autore stesso della vita, datore di ogni bene, la mansuetudine personificata. E’ immensa l’umiliazione anche a causa delle urla della folla e dell’odio contro Gesù condiviso da tutti, per cui non viene fatta una scelta pacifica, ma tumultuosa; è il ruggito di fiere assetate di sangue. Non è scelta spontanea, ma istigata dai Principi dei Sacerdoti. Umilianti pure le cause che spingono a fare la scelta, cioè l’odio dei Principi dei Sacerdoti che sobillano il popolo a chiedere la liberazione di Barabba, non per compassione verso di lui, ma per odio contro Gesù, e la volubilità del popolo, che anteriormente aveva proclamato Gesù re e ora chiede con rabbia e insistenza che sia crocifisso.
Si aggiunge la codardìa del giudice indegno, che chiede al popolo cosa deve fare e inverte così l’ordine del giudizio e della sentenza, ponendo il popolo come giudice e se stesso come testimone della causa.
Gesù è flagellato. Consideriamo, figlie mie, la durezza di questo supplizio. Legano Gesù, con le braccia in alto, per i polsi e i piedi ad una colonna dell’atrio. E’ questo un luogo infame dove vengono frustati i condannati alla crocifissione. Consideriamo la nudità di Gesù che è privato anche della tunica inconsutile; la crudeltà degli aguzzini istigati contro di Lui dall’odio di satana e dei giudei, che li corrompono con denaro affinché finiscano il Salvatore. I numerosissimi colpi inflitti (c’è chi dice che furono cinquemila) e la prolungata tortura, senza interruzione, dato che i carnefici si sostituiscono quando sono stanchi di infliggere colpi su quel Padre buono, il quale non si stanca di riceverli; la durezza degli strumenti usati, cioè verghe verdi ricoperte di spine e terribili fasci di nervi di bue con punte di ferro che penetrano nelle delicate ossa di Gesù, per cui il suo corpo santissimo al termine del supplizio rimane completamente piagato e dissanguato.
Gesù, bagnandosi nel proprio sangue si trascina dove stanno i suoi vestiti per ricoprirsi. Quale dolore soffre il nostro Redentore nel vedersi così crudelmente torturato dall’uomo che Egli ama, per la salvezza del quale si è incarnato e dà la sua vita!
Vediamo, figlie mie, i motivi che spingono Gesù a soffrire tanto, mentre avrebbe potuto redimerci con una sola sua lacrima. Egli vuole mostrarci l’immensità del suo amore e ispirarci l’orrore al peccato e la fiducia che dobbiamo avere in Lui; mostrarci il bene immenso che è il Paradiso; animarci a sopportare le nostre fatiche; far scaturire da esse la gioia dei martiri, la mortificazione dei penitenti, e la tribolazione dei fedeli, che per essa ringraziano il Signore; per vincere la nostra concupiscenza, cioè i peccati della carne, specialmente la lussuria e la gola.
Le Ancelle dell’Amore Misericordioso devono mortificarsi spiritualmente nella volontà e corporalmente con il digiuno.
Gesù è coronato di spine. I tormenti di Gesù in questa stazione sono causati dalla denudazione; i suoi vestiti, nel venire strappati con violenza, essendosi appiccicati al corpo a causa del sangue, portano via brandelli di pelle; dal vecchio manto di porpora che gli pongono addosso per beffeggiarlo come re da burla e da teatro; dalla corona di spine che trafiggendogli il cervello gli procura un’abbondante perdita di sangue e dolori atroci; dalla canna vuota postagli nella mano al posto dello scettro per indicare che è un re di bastoni, senza giudizio né cervello; dagli atti ingiuriosi, dagli sputi sul viso e dai colpi alla testa con la canna per far penetrare di più le spine; dalle parole ingiuriose dei soldati che, passandogli davanti e burlandosi di Lui, dicono “Dio ti salvi, re dei giudei”; dalle beffe degli altri presenti e del popolo accorso a divertirsi.
La dignità regale di Gesù è confermata. Re delle anime provate dal dolore, possiede infatti una corona di spine; uno scettro di canna, Egli che con la sua divinità sottomette l’universo; un vestito di porpora, Colui che estende il suo regno inondandolo con il suo sangue. Figlie mie, Gesù coronato di spine ci insegna le virtù dell’umiltà e della carità, ossia l’abnegazione di sé che va contro i peccati dello spirito, specialmente la superbia e l’invidia, e contro una vita che si alimenta di onori. Per amore a Dio dobbiamo, infatti, calpestare anche una dignità regale.
Pilato, impressionato nel vedere Gesù così malridotto, esclama rivolto al popolo: “Ecco l’uomo!”, presentando Gesù come oggetto di compassione, quasi dicesse: Guardate colui che si dichiara re, Figlio di Dio, castigato e sfigurato a tal punto che appena sembra un uomo. Abbiate compassione di lui.
“Ecco l’uomo!” dice di se stesso il nostro divino Maestro, che chiede oggi alle Ancelle del suo Amore Misericordioso due cose: fiducia, perché attendano tutto da Lui, e imitazione, perché lo prendano come modello.
Questo gesto di Pilato causa sofferenza a Gesù per il fatto di essere presentato al popolo come re falso, oggetto di burla e degno di compassione non per misericordia, ma perché non è re come essi pensano dovrebbe essere, cioè capace di ispirare timore di usurpazione e di autorità; per le grida del popolino spinto dai nemici di Gesù a urlare “Crocifiggilo”; per la nuova accusa di bestemmiatore perché si proclama Figlio di Dio, mentre i bestemmiatori sono loro che lo negano; per le passioni di Pilato, il quale da una parte teme di sentire che è Figlio di Dio, e dall’altra, per superbia, teme il silenzio di Gesù come disprezzo della sua autorità, e per la paura che egli prova, mosso dal rispetto umano, nel sentir dire dal popolo che, se non lo crocifigge, è nemico di Cesare.
Nella seconda presentazione che Pilato fa di Gesù al popolo dice: “Guardate il vostro Re”. Le grida infernali della turba che vocifera “Toglilo di là, crocifiggilo, crocifiggilo, perché noi non abbiamo altro re che Cesare”, vogliono significare: I nostri occhi non lo vedano più, scompaia anche il suo ricordo; condannalo alla morte di croce, la più ingiuriosa. Essi negano il vero Re d’Israele e, in odio a Gesù, proclamano re il tiranno che opprime la libertà della loro Patria, rimanendo così schiavi di Roma.
Gesù posposto a Barabba, che è l’immagine degli uomini perversi e del mondo nemico dell’anima, deve essere seguito da tutti perché non possiamo servire a due padroni.
Figlie mie, inculchiamo nel cuore del bambino e di tutti coloro che ci avvicinano le seguenti verità:
-    Gesù è la salvezza e la vita, perché fuori di Lui non c’è salvezza per l’uomo, né per i popoli e le nazioni.
-    Noi ci salveremo seguendo Gesù nella via della sua dolorosa Passione, non anteponendogli Barabba, cioè, non lasciando che il nostro appetito disordinato segua il male, e calpestando gli onori del mondo e la superbia della vita con l’umiltà della corona di spine.
Noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso, mettiamo a morte la concupiscenza della nostra carne con mortificazioni e penitenze corporali e teniamo presente che per essere vere Ancelle dell’Amore Misericordioso ci sono necessarie queste quattro virtù: amore, carità, umiltà e mortificazione.

  1. 5.     Giovedì santo

Giovedì Santo: 21 marzo 1940

Il giorno del Giovedì santo ho potuto parlare alle mie Figlie, e ho potuto comunicare a loro la pena che porto nel mio cuore al veder quanto lavorano tutti i nemici della mia amata Congregazione ma soprattutto quelle che hanno ricevute tantissime grazie dal Buon Gesù e sono state mie Figlie.
Ho concluso informandole della supplica, che ho fatto a Gesù questa mattina, e delle esortazioni e osservazioni che in questo momento desidero fare alle mie Figlie fedeli, proprio in questa notte del Giovedì santo, ma che è mio desiderio che si ricordino per sempre.
Bilbao, 21 marzo 1940: SUPPLICA che rivolgo al Buon Gesù ed esortazioni e osservazioni che faccio alle mie Figlie in questa notte del Giovedì santo del 1940.
Figlie mie, oggi Giovedì santo, festa memorabile della triste cena del nostro Gesù, con il cuore trapassato dal dolore per il ricordo della sofferenza del nostro divino Maestro in questa memorabile notte e per l’amarezza di vedere una delle mie Figlie, senza abito religioso ma con voti, girare per le strade senza perdere tempo nel cercare tutti i mezzi in suo potere, così come Giuda, mossa dalla sola ambizione del benessere e tutta impegnata a voler rimuovere dalle nostre amate Costituzioni tutto quello che costa, per conseguire di arrivare a essere servite dai poveri e vivere con meno sacrifici.
In questa notte, Figlie mie, questa vostra Madre chiede a Gesù di voler rinnegare per prima a me stessa, povera figlia sua, e a qualunque Figlia mia che pretendesse mettere nella nostra amata Congregazione lo spirito di discordia, di rilassamento o di ribellione, diventando pietra di scandalo per le altre o che solo pretendesse distruggere lo spirito che desidero regni sempre nella nostra amata Congregazione e che non è altro che lo spirito di sacrificio, di carità, di mortificazione, di abnegazione in modo che tutte le mie Figlie arrivino a essere vere madri con i piccoli, specialmente con quelli più abbandonati.
Allo stesso tempo chiedo alle mie Figlie fedeli che siano forti ed energiche nel fare tutto quello che sarà possibile per allontanare dalla nostra amata Congregazione tutte quelle religiose che pretendessero introdurre qualcuna delle cose suddette.
Chiedo a Gesù oggi, per le mie Figlie accecate dalla passione, che Lui voglia concedere a loro la grazia del pentimento o, altrimenti, la immediata espulsione dalla nostra amata Congregazione.
Per ultimo chiedo a tutte voi mie Figlie fedeli di aver sempre una grande preoccupazione e vigilanza perché il nemico non possa mai più entrare nella nostra Congregazione. Perdonarle si, come sul serio le perdona questa vostra Madre.

Giovedì Santo (21 marzo 1940)

Oggi, giorno del Giovedì santo, rinnovo, Gesù mio, la mia offerta fatta nell’anno 1927 al mio Dio, come vittima per i poveri sacerdoti che si allontanano da Lui e Lo offendono gravemente. E Ti chiedo, Gesù mio, di non lasciarmi neanche un attimo senza dolori o senza tribolazione in modo che la mia vita sia un continuo martirio, lento ma doloroso, in riparazione di queste povere anime e per impetrare la grazia del loro pentimento.
Fa, Gesù mio, che io non abbia altro desiderio che soffrire costantemente come hai fatto Tu, che hai desiderato essere battezzato con lo spaventoso e doloroso battesimo della Tua Passione.

11 aprile 1941

Ieri, 10 aprile, Giovedì santo, abbiamo partecipato alla Liturgia nella Parrocchia e, trovandomi lì, sono uscite dal mio cuore oppresso queste parole: “Gesù mio, i potenti del mondo e alcune Personalità della mia Madre Chiesa mi perseguitano, però il mio cuore brucia del Tuo amore e con Te, Gesù mio, aspetto serena e tranquilla la sentenza, che vorrei ricevere oggi, per avere la fortuna di essere condannata come Te, in questo memorabile giorno”.
Alle 10 chiamano dal Santo Offizio e alle 12 già mi trovo al Santo Offizio a ricevere la mia sentenza dall’Assessore, che mi dice: “Madre, la chiamo per darle una notizia che ha una parte buona e una dolorosa; la guardi dalla parte buona. La sua Congregazione resta accolta dalla Santa Sede in via di esperimento e il Santo Offizio ha deciso che Lei resti qui, senza poter intervenire nel Governo della sua Congregazione. Il Santo Offizio darà facoltà ai Signori Vescovi nelle cui Diocesi la Congregazione ha le sue case, di nominare, riuniti insieme, la persona che dovrà reggere la Congregazione; sarà nominata una Vicaria o si confermerà quella attuale. Che le pare?”. Non rispondo e allora Lui prosegue: “Madre, ricordi con frequenza San Giovanni de la Salle”.
Siamo usciti dal Santo Offizio Pilar ed io, con una grande pena nel cuore; arrivata a casa, non dico niente alle Figlie e, anche Pilar come me, ci sforziamo di apparire serene e a non far conoscere il nostro dolore, fino all’ora della cena quando ho parlato e raccontato quanto stava succedendo. La stessa sera del Giovedì santo ho scritto alla Figlie e ho mandato la lettera all’Assessore del Santo Offizio perché, se lo avesse creduto conveniente, l’avesse inoltrata alle Figlie.

Giovedì Santo: 2 aprile 1942

Oggi, giorno del Giovedì santo, Ti supplico, Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali io desidero vivere come vittima: fa a loro conoscere la verità, Gesù mio, con la Tua chiarezza in modo che capiscano ed esperimentino il vuoto e il niente delle cose umane; attraili a Te, manifestandoti a loro come un padre amoroso e fonte di ogni bene; dà, Gesù mio, alla volontà di tutti loro la forza e la costanza di cui hanno bisogno per non volere né desiderare nulla fuori di Te.

Roma, Giovedì Santo 1943 -

Oggi giorno del Giovedì santo chiedo al buon Gesù di benedire, insieme a questa povera figlia sua, tutte le mie Figlie fedeli, cioè tutte quelle Figlie che, mosse dall’amore e dalla carità’ hanno saputo sacrificarsi per la loro amata Congregazione, difenderla, lavorare nell’esercizio della carità, senza riposo, sole, perseguitate, sopportando per amore a Gesù e alla Congregazione i dispiaceri che il nemico ha procurato in questo tempo di prova e di persecuzione.

29 febbraio 1952

Non posso nasconderle, Padre mio, che, nonostante tutto, mi sento felice, tanto felice, poiché questa notte il buon Gesù mi ha invitato a soffrire accanto a Lui, facendomi vedere in un modo misterioso (che non so spiegarle) la sua immolazione come vittima nella celebrazione della Santa Cena, o meglio, nella prima Messa celebrata nel mondo dal Santo dei Santi. Una Messa che Lui ha avallato col Suo stesso Sangue!

  1. 6.     Venerdi santo

Care figlie, consideriamo oggi le sette parole che il nostro dolce Gesù pronunciò dall’alto della croce.

Gesù, con la prima parola, chiede: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”. Prega per coloro che lo torturano e offendono. Non chiede che scenda su di essi fuoco dal cielo, ma che il fuoco della carità e del pentimento inondi i loro cuori. Prega per loro scusandoli perché là ci sono molti che veramente non sanno quello che fanno, anche se ci sono molti altri la cui ignoranza è colpevole perché simulata. Prega con umiltà alzando gli occhi al cielo e supplicando il Padre, il quale lo ascolta. Molti di essi infatti vengono poi convertiti da S. Pietro.

La seconda parola di Gesù è rivolta al buon ladrone: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Il cattivo ladrone aumenta l’obbrobrio di Gesù unendosi al coro di quelli che si burlano di Lui inchiodato alla croce. Il buon ladrone invece realizza, nella sua conversione, un atto di virtù altamente eroica; infatti riprende pubblicamente il bestemmiatore con parole molto gravi, dicendogli: “Neppure tu hai timore di Dio e sei stato condannato alla stessa pena?”.
Il buon ladrone confessa la sua colpa, per la quale merita il castigo che sta soffrendo, e pubblicamente davanti a Pilato e ai giudei che lo hanno condannato come reo, confessa l’innocenza di Gesù. Mentre i discepoli fuggono e i conoscenti tacciono, egli confessa che Gesù è Signore e Re, con umiltà perché si ritiene indegno. Non gli chiede infatti il regno, ma che si ricordi di lui. Lo confessa non perché ascolta i discorsi di Gesù o vede i suoi miracoli, ma solo perché ne ammira l’infinita pazienza e santità.
Le parole di Gesù “Oggi sarai con me in Paradiso”, figlie mie, sono frutto della preghiera. Gesù perdona al buon ladrone la colpa e la pena e gli assicura l’ingresso immediato nel Paradiso.
Consideriamo, figlie mie, questi due ladroni. Uno è figura del reprobo e suscita in noi timore della vana presunzione; l’altro è figura del predestinato e ci ispira un motivo di fiducia.

La terza parola è: “Donna, ecco tuo figlio” ... “Ecco tua madre”. La SS. Vergine ai piedi della croce è la Martire dei martiri per l’amore profondo a suo Figlio, per la intensa apprensione dei tormenti sofferti da Gesù e per la sua grande compassione pensando che Gesù patisce a causa dei peccati degli altri.
Gesù, pur tra i tormenti, si preoccupa di sua Madre e le affida un figlio. La chiama “Donna” per mostrare che il suo cuore è staccato da tutto ciò che è carne e sangue. Dona alla SS. Vergine lo spirito di Madre verso S. Giovanni, per cui ella si sente spinta a considerarci figli per espressa volontà di suo Figlio.
Quando Gesù guardando Giovanni dice: “Ecco tua Madre”, dona a lui una madre e in Giovanni anche a tutti noi, non volendo lasciarci orfani. Infonde in Giovanni lo spirito di figlio verso la SS. Vergine ed egli la prende con sé perché così ha disposto il suo Maestro. Gesù fa questo dono a Giovanni perché è stato perseverante nel prendere parte alla sua Passione, per il suo amore e la sua verginale purezza.

La quarta parola è: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Le tenebre sono un segno della tristezza per la morte del loro Creatore, un velo sugli occhi dei nemici affinché non vedano il volto del Salvatore e cessino di burlarsi di Lui.
Sono come una notte silenziosa, alla cui ombra e solitudine, Gesù in croce può pregare solo, a tu per tu con il Padre, come quando si ritirava a pregare a lungo sul monte dopo aver predicato. Sono un segno dell’indignazione di Dio contro il popolo ingrato.
Gesù amorosamente si lamenta dell’abbandono interiore che sperimenta perché il Padre lo lascia soffrire senza che Egli possa concedere un solo momento di riposo al suo corpo. La sua divinità ha privato la sua umanità delle consolazioni sensibili; il popolo eletto lo ha rinnegato; i suoi discepoli sono fuggiti e sa che migliaia di anime disprezzeranno i suoi Sacramenti. Le parole di Gesù sono una spada di dolore per la SS. Vergine, che prega il Padre di non abbandonare il Figlio suo afflitto.
Gesù con il suo amoroso lamento ci vuole insegnare che anche noi possiamo lamentarci con dolcezza e presentare a Dio i nostri dolori, affinché ci aiuti e alleggerisca le nostre croci.

La quinta parola è: “Ho sete”. Gesù manifesta la sua sete corporale dovuta al fatto di avere perduto molto sangue, per cui le vene e le viscere sono riarse; di essersi stancato a causa della lunga giornata trascorsa in gran fretta e di non avere bevuto dalla notte precedente. Ha sete spirituale di fare la volontà del Padre, di soffrire molto di più per nostro amore, affinché tutti gli uomini traggano vantaggio dalla sua Passione e morte.
Gesù con questa parola ci insegna ad esporre le nostre necessità senza insistere né replicare, con rassegnazione e umiltà; ci insegna anche a ricorrere a Dio.
I nemici di Gesù commettono la crudeltà di accostargli alle labbra una spugna intrisa di aceto. Non c’è chi dia refrigerio alla sua sete, dato che neppure la SS. Vergine lo può fare essendo la croce circondata di nemici; e questa crudeltà aumenta la sofferenza della Madre.
Noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso, dobbiamo avere sete inestinguibile di fare la volontà di Dio, desiderare ardentemente di bere l’acqua della grazia, dell’amore a Dio anteposto ad ogni amore alle creature, e delle beatitudini.

La sesta parola è: “Tutto è compiuto”. Gesù nel pronunciarla posa il suo sguardo su tutte le figure che lo rappresentano dal principio del mondo, sui sacrifici e le cerimonie dell’antica Legge già compiuti, sullo scopo per il quale è venuto al mondo, sul compito che il Padre gli ha affidato di dare soddisfazione per il peccato, di vincere il demonio e la morte, di essere Maestro di una perfettissima Dottrina, più con l’esempio che con le parole, e sui tormenti sofferti dall’incarnazione fino a quel momento.

La settima parola: “Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito”, Gesù la grida chiara, sonora, comprensibile, per dimostrare la vittoria ottenuta sul peccato, l’inferno e la morte. Esprime il sentimento della sua anima nel momento di separarsi dal corpo, che così buona compagnia gli ha fatto aiutandola per trentatré anni nell’opera della Redenzione.
Gesù, raccomandando al Padre il suo Spirito, raccomanda anche quello dei suoi eletti, i quali, come dice S. Paolo, formano un solo Spirito con Lui.
Nel pronunciare queste parole Gesù reclina il capo per indicare la sua obbedienza al Padre, il peso dei nostri peccati che nel morire gli fanno piegare la testa, e il Limbo dove scenderà la sua anima.
Gesù spira per l’atrocità dei suoi dolori, dissanguato, spossato, con il volto madido di sudore, avendo portato a termine il suo compito di Maestro, Pastore, Sommo Sacerdote, Redentore e Sole di Giustizia che illumina il mondo con la sua dottrina.
La SS. Vergine sta accanto alla croce piangendo. Stanno là anche alcuni angeli mandati dal Padre, non ad alleggerire i dolori di suo Figlio, ma per onorarlo. A un lato della croce c’è anche il demonio in attesa di vedere se può trovare in Gesù qualcosa che sia suo, ma rimane vinto e incatenato.
Figlie mie, i miracoli che si verificano nel momento in cui spira Gesù sono i seguenti. Il velo del tempio si squarcia in due parti per significare che gli arcani segreti nascosti nelle ombre e nelle figure dell’antica Legge e a causa dei nostri peccati, si vengono ad aprire alla conoscenza degli uomini. È anche segno dell’orrendo sacrilegio e delle bestemmie commessi da quel popolo nel sacrificare il Figlio di Dio.
Il tremare della terra, lo spezzarsi delle rocce, l’aprirsi dei sepolcri e il risuscitare dei morti sono segno del sentimento delle creature insensibili per la morte del loro Creatore. Le subitanee conversioni di molti; infatti il Centurione, che vigila su Gesù, all’udire il grido del Salvatore nel momento di spirare e quei segni della natura, esclama: “Veramente costui era il Figlio di Dio”.
Gli stessi soldati che stanno con lui e il popolo scendono atterriti in città con il cuore ferito. Con questi mirabili fenomeni si manifesta la gloria di Colui che muore e la malvagità del popolo.
Figlie mie, Gesù dalla cattedra della croce ci insegna l’amore al sacrificio, la carità e il modo di perdonare. Egli si fa conoscere attraverso la suprema umiliazione della croce affinché mai possa gloriarsi in sua presenza la superbia della carne.
Figlie mie, solo nella croce di Gesù troveremo la salvezza.
Consideriamo ora Gesù morto e ciò che fanno al suo sacratissimo corpo; i gloriosi trofei della vittoria; la deposizione dalla croce; la sepoltura; la solitudine della SS. Vergine; le guardie al sepolcro.
I giudei chiedono a Pilato che comandi di spezzare le gambe ai crocifissi e di toglierli dalla croce, in odio a Gesù, per ingiuriarlo di nuovo se morto, oppure farlo soffrire di più se ancora vivo, perché vedono che il popolo incomincia a contristarsi dell’accaduto; e anche perché la Legge comandava che fosse tolto dalla croce il malfattore crocifisso nel giorno stesso della sua morte. Tuttavia, giunti da Gesù, incontrandolo morto non gli spezzano le gambe, perché sta scritto che all’Agnello Pasquale, immagine di Cristo, non sia spezzato alcun osso.
Il colpo di lancia che uno dei soldati infligge al costato di Gesù, trapassandogli il cuore, è tanto più doloroso per la SS. Vergine dato che Gesù già non può sentirlo, e dalla ferita del quale scaturiscono Acqua e Sangue, serve per vedere se è morto. Ma Gesù lo permette al fine di manifestarci il suo cuore, dimora nella quale ci dobbiamo rifugiare contro gli assalti dell’inferno; per versare il poco sangue che gli rimane e dimostrare l’efficacia della Passione che con l’acqua della grazia lava i peccati, spegne l’ardore della concupiscenza e produce i Sacramenti della Legge nuova; per mostrarci che dal suo costato nasce la S. Chiesa, Madre di tutti i viventi, come dalla costola di Adamo era nata Eva.
Vediamo i gloriosi trofei della insigne vittoria che il nostro grande Liberatore conquista sul Calvario contro la morte e l’inferno. Essi sono i segni dei suoi tormenti infiniti, che Gesù vuole conservare in se stesso per dimostrare che ha potuto, saputo e voluto riscattarci con le armi dell’umiltà, mortificazione, estrema povertà, ingiurie, dolori e affronti, in opposizione alla superbia degli onori, all’avarizia delle ricchezze e alla concupiscenza dei piaceri.
Sono le fonti della vita eterna dalle quali sgorga a torrenti la divina Grazia che si comunica alle nostre anime, specialmente i Sacramenti e altri infiniti mezzi, essendo sorgente inesauribile di essi la Passione del nostro Dio, la cui virtù si estende a tutti i luoghi e i tempi in modi innumerevoli. Sono le porte della luce infinita, sempre aperte alla salvezza, attraverso le quali il Re della gloria crocifisso ci invita tutti a passare per entrare nel Paradiso della sua S. Chiesa, per bere le acque salutari dei suoi Sacramenti, alimentarci con il cibo delle beatitudini e seguirlo nel nostro pellegrinaggio attraverso il deserto della vita, fino a entrare nella terra promessa dell’eternità.
Sono le cinque prove o immagini che il nostro Redentore, nello svolgere il suo compito di nostro Avvocato, Mediatore tra Dio e gli uomini, nel cielo e nel tabernacolo, mostra continuamente al Padre, presentandogli i suoi meriti infiniti. Le cinque piaghe, figlie mie, sono cinque fuochi di luce celestiale che dissipano le tenebre del mondo e illuminano le anime nel cielo soprannaturale della grazia e della gloria, perché alimentano la loro virtù nel fuoco infinito del Sole della Giustizia.

Deposizione dalla croce.
La domanda che Giuseppe di Arimatea, discepolo di Gesù (ma di nascosto per rispetto umano), rivolge a Pilato di lasciargli il corpo di Gesù è frutto dell’efficacia della Passione. Egli infatti, sconfiggendo il rispetto umano e la paura che lo paralizzano, dà esempio di coraggio e di amore quando nessuno osa avvicinarsi al sacro corpo per timore dei giudei. La collaborazione di Nicodemo, uomo nobile e giusto, nella deposizione ci insegna che l’unione di uomini buoni e potenti ha una grande efficacia nel bene.
La deposizione dalla croce viene fatta con grande attenzione e diligenza, con molto rispetto, amore e tenerezza. Essa ci insegna che Gesù, come per obbedienza è salito sulla croce, così per obbedienza ne discende, dato che senza l’autorizzazione del giudice i giustiziati non potevano essere tolti dalla croce.
Baciando i sacri piedi e le mani del Redentore, lo consegnano alla SS. Vergine, che lo bacia e lo lava con le sue lacrime; accanto a lei S. Giovanni, la Maddalena e altre sante donne le fanno compagnia.

La sepoltura di Gesù.
Imbalsamano il corpo di Gesù con mirra e aloe, per indicare quanto quel corpo è stato impegnato nei lavori simbolizzati dalla mirra. Così Egli vuole che sia per le sue Ancelle, che devono imbalsamare i loro cuori con le virtù unguento della carità, amore e sacrificio. Avvolgono il corpo di Gesù in un lenzuolo di filo fino, nuovo e pulito; come nuovo, pulito e soave deve essere il cuore delle Ancelle del suo Amore. Nuovo, perché in esso non trova riposo che Gesù; pulito, perché libero da ogni affetto che non sia per Gesù; reso soave dalla carità, e bianco dalla purezza di coscienza.
Secondo l’usanza, gli pongono un sudario sulla testa.
Gesù viene inumato con lenzuolo, sudario, unguento e sepolcro prestati, per insegnarci a donargli con piacere tutto il nostro cuore, corpo, sensi e potenze. Gesù infatti possiede tutto il nostro essere fintanto che noi lo vogliamo, ma ci lascia la libertà di ritirargli tutto e di darlo al suo nemico, mentre Egli, come un povero innamorato, attende che gli diamo ciò che gli appartiene.
Noi spesso con ingratitudine togliamo a Gesù il nostro amore per darlo alle creature. A Lui offriamo un cuore insudiciato dalla presenza dell’amore carnale, una coscienza macchiata dal peccato e un lenzuolo reso ruvido dall’egoismo e dalla mancanza di carità.
Molte volte Gesù, dopo essere stato tutto il giorno tra noi mendicando il nostro amore, è costretto a ritirarsi vedendo che il sepolcro del nostro cuore è occupato dall’amore alle creature, e vedendo che noi siamo impegnate ad accontentare le nostre passioni, nemiche di Gesù e delle nostre anime.
Quale dolore per il povero Gesù! Con quanta tristezza ci guarda per vedere se ci volgiamo a Lui!
Il sepolcro dove depongono Gesù è nuovo, scavato nella roccia a colpi di piccone, per indicare che vi deve essere sepolto Cristo Gesù, Pietra viva lavorata a colpi di buone opere.

La solitudine della SS. Vergine.
La Santissima Vergine, dopo aver adorato il suo Figlio divino e la croce, trafitta dal dolore, con molta attenzione per non calpestare il sangue sparso dal Signore, si ritira nella sua casa; è grata ai santi uomini dell’opera che hanno compiuto e promette loro il premio. Finalmente sola, dà libero sfogo al suo sentimento e alle lacrime, colloquiando teneramente con l’eterno Padre, con l’anima di suo Figlio che sta nel Limbo, e con il suo corpo che sta nel sepolcro.
L’anima di Gesù, scesa a liberare le anime dei suoi amici e a consolarle, non dimentica i suoi che sono smarriti e, con divina ispirazione, li raccoglie attorno alla SS. Vergine, la quale li incoraggia con la speranza della Risurrezione. La SS. Vergine ottiene ad essi il perdono della passata viltà e consola le sante donne che, trascorsa la Pasqua, vanno in cerca di nuovi unguenti per ungere il sacro corpo.
I giudei pongono delle guardie al sepolcro, ingiuriando così Gesù perché dicono a Pilato che, trattandosi di un ingannatore e un seduttore, temono che i suoi discepoli vadano a rubare il suo corpo e poi dicano che è risuscitato. Sigillano il sepolcro, temendo, figlie mie, senza motivo.
Così succede alla Religiosa che vuole essere avvisata quando arriva la Superiora. Il demonio le chiude gli occhi della fede perché operi il male, credendo che nessuno la vede, e poi teme di essere accusata. Ha timore cioè di chi non deve temere, mentre si burla di chi deve rispettare, senza tenere in conto che le sue malefatte sono sempre palesi agli occhi del suo Dio.
Dalla vigilanza dei giudei, figlia della loro ostinazione, la divina Provvidenza trae effetti contrari ai loro intenti; la Risurrezione infat-ti viene resa molto più di dominio pubblico. Così succederà alle Religiose che, con dispregio di Gesù, continuano nella loro ostinazione.
Il corpo di Gesù rimane incorrotto perché unito alla divinità. Se il nostro cuore fosse unito a Gesù, potremmo essere sicure che, nonostante questo pugno di terra si trovi nel sepolcro, saremo libere dalla sua corruzione e lontane dall’inferno.

  1. 7.     Sabato Santo

Care figlie, consideriamo oggi la trionfale Risurrezione del nostro divino Gesù e la sua discesa nel Limbo. L’anima razionale di Gesù, unita alla divinità, scende nel Limbo dove lo attendono i santi che, in attesa di essere da Lui liberati nell’ora della Redenzione, non godono ancora la beatitudine.
L’anima di Gesù scende in quel carcere per mostrarci la sua umiltà e la sua carità nell’andare personalmente a liberarli, invece di farlo con un solo atto della sua volontà o servendosi degli angeli.
Il suo ingresso nel Limbo in compagnia degli angeli è vittorioso. In virtù del suo sangue si spezzano le serrature del carcere e con la sua presenza Gesù illumina tutte le anime che vi si trovano e che sono inondate dalla luce della gloria. Immensa è la gioia di Gesù nel liberare quelle anime e nel mantenere la promessa fatta al buon ladrone.
Gesù, dando compimento alla Scrittura, anticipa l’ora della risurrezione per consolare la sua afflitta Madre e i suoi amici, per soccorrere i discepoli infedeli e rallegrare il mondo con la sua luce.
Gesù comunica la sua gloria a molti suoi amici, facendoli risorgere con le anime e i corpi gloriosi, al fine di mostrare la sua onnipotenza e darci la speranza che il nostro spirito risorgerà a vita nuova, se siamo amici suoi.
Mediante la risurrezione l’eterno Padre ricompensa il Figlio della sua umiliazione con una gloria immensa; i suoi dolori con gioia ineffabile, la sua povertà con un dominio assoluto. Gesù ricompensa i suoi fedeli a misura di ciò che hanno fatto per Lui. La Santissima Vergine con un oceano di felicità, la Maddalena con la consolazione del suo dolore, Pietro con la contrizione e, come un tenero amico, converte in gioia la tristezza dei suoi fedeli che lo credevano perduto.
Gesù appare alla sua SS. Madre, e gli angeli alle sante donne. Gesù, nella sua infinita carità, dopo la risurrezione rimase ancora quaranta giorni per dare conforto ai suoi. Appare loro varie volte per raccogliere le sue pecore disperse e consolare gli afflitti, in forza del suo compito di buon Pastore e Padre d’infinita carità.
Gesù appare alla SS. Vergine quando, profondamente afflitta per le sofferenze del suo Figlio divino, da tre giorni si trova in altissima contemplazione e gli dice piangendo dolcemente e con affettuosi sospiri: “Alzati, mia gloria, e risvegliati dal sonno della morte”.
Le appare risplendente e bello, in compagnia d’innumerevoli angeli e delle anime che ha fatte uscire dal Limbo. Queste ultime ringraziano la SS. Vergine per aver cooperato alla Redenzione. Gesù, con gioia di Dio e della SS. Vergine, ha con lei teneri colloqui e abbracciandola le rivela i grandi segreti del cielo e le promette di tornare a vederla molte volte.
Il mattino della domenica, dando esempio di premurosa diligenza e senza timore delle guardie né della pesante pietra, la Maddalena e le pietose donne si recano al sepolcro per ungere il corpo del Signore. Giunte, vedono la pietra tolta e un bellissimo angelo che annuncia la resurrezione e comanda loro di portare la notizia agli Apostoli perché non si sentano abbandonati, e in particolare a Pietro. Entrate nel sepolcro, esse vedono due angeli che assicurano lo stesso; la perseveranza infatti merita maggiori consolazioni.
Figlie mie, la Maddalena si distingue per il suo fervore, il pianto e l’ansia di cercare Gesù, e così, mentre le altre sante donne, Pietro e Giovanni, che da esse informati sono venuti al sepolcro, si ritirano, ella rimane lì accanto, sempre cercando il corpo del suo Dio. Si affaccia varie volte e, pur vedendo gli angeli, non si asciuga le lacrime dato che la vista delle creature non la consola.
Gesù premia questo suo amore. Per ravvivare il suo desiderio di Lui, le appare alle spalle in modo che per vederlo deve voltarsi; vestito da ortolano ella non lo riconosce. Gesù le chiede perché piange. Vuole mostrarle che ha poca fede nel piangere morto Colui che è vivo e glorioso.
La Maddalena, non avendolo riconosciuto, gli dice: “Signore, se tu l’hai preso, dimmi dove l’hai posto perché io lo possa trovare”. L’amore e il dolore la fanno parlare vaneggiando, con il cuore e la mente fuori di sé, tutta presa dal pensiero dell’Amato, e si impegna a fare molto più di quello che può. Tutto questo, figlie mie, è prova del suo amore.
Gesù, per premiare il suo fervido amore, le si manifesta dicendo: “Maria”. Subito ella, cambiando in gioia la tristezza del suo cuore e con la mente illuminata, lo chiama con il nome che esprime riverenza e amore “Maestro mio”. Si getta ai piedi di Gesù per baciarli, ma Egli non glielo permette; vuole mostrarle che ha avuto poca fede e insegnarle che d’ora in poi gli deve tributare maggiore rispetto, riverenza e amore.
Gesù le dice: “Va’, e di’ ai miei fratelli che vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. In tal modo fa loro intendere che la gloria della Risurrezione non ha cambiato la sua condizione e perciò continua a chiamarli fratelli.
La Maddalena raggiunge le donne - l’amore fa volare - racconta loro ciò che ha visto e fa crescere in esse il desiderio di vedere Gesù. Il Signore, per premiarle dell’opera compiuta la notte precedente, appare anche a loro dicendo: “Salute a voi”. Esse, inondate di gioia, gli si avvicinano, lo adorano e gli baciano i piedi. Così ora la Maddalena può fare ciò che prima il Signore le aveva negato.
Gesù dà a queste donne il seguente incarico: “Dite ai miei fratelli di andare in Galilea, perché là mi vedranno”. Vuol mostrare così la sua tenerezza nel chiamarli fratelli; vuole anche che, ai confini di Gerusalemme senza il timore dei giudei, possano godere della sua presenza con maggiore tranquillità. Nello stesso modo Egli ha allontanato noi dal chiasso del mondo per farci godere di Lui. Figlie mie, impariamo dalla Maddalena e dalle sante donne l’amore a Dio, la premura e l’umiltà.
Gli Apostoli non credono alle donne, mostrando con questo la durezza del loro giudizio. Ciò prova quanto è eroico credere quello che non si vede, anche se non si deve credere sempre tutto quello che si sente dire.
Pietro e Giovanni, figure della vita attiva e contemplativa, vanno al sepolcro per verificare personalmente quello che si dice. A Pietro, appartatosi, appare il Maestro, ai cui piedi egli si getta, piangendo il proprio peccato con grande vergogna e ottenendo la sicurezza del perdono e salutari consigli. Egli riferisce agli altri Apostoli l’apparizione e tutti gli credono perché si fidano della sua parola autorevole, ed esclamano: “Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone”.

 

 
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    aggiornato il 10 marzo 2011